In concomitanza con due festival organizzati in quel di Berlino e Londra in occasione del quindicennale della sua fondazione, la label Erased Tapes pubblica la compilation celebrativa intitolata Erased Tapes 十五: al suo interno ben due ore di musica tra rarità ed inediti estratti dai propri archivi.
Sempre distintasi per un sound che attraversa trasversalmente e senza soluzione di continuità la musica elettronica e quella neoclassica, con una spiccata sensibilità per la sperimentazione e le atmosfere più cinematiche, nel corso degli anni l’etichetta ha raccolto attorno a sé alcuni dei produttori e musicisti più quotati in questo campo, tutti contenuti naturalmente in questa selezione. La tracklist sfoggia dunque lavori firmati da nomi classicamente associati ad Erased Tapes, come Rival Consoles, Nils Frahm, Kiasmos, Ben Lukas Boysen, Peter Broderick e Douglas Dare, unendoli ad associati e anime gemelle artistiche come il virtuoso del pianoforte Lubomyr Melnyk, Anne Müller, i riattivati Penguin Cafe (ensemble guidato da Simon Jeffes, figlio di Arthur Jeffes, fondatore della Penguin Cafe Orchestra), ed ancora Colin Stetson, che qui reinterpreta un brano della Bell Orchestre, Kevin Richard Martin in collaborazione con la nipponica Hatis Noit, Masayoshi Fujita, The Art Ensemble of Chicago qui con la participazione di Moor Mother, e tanti altri ancora.
A proposito di questa speciale release, il fondatore della label, Robert Raths, ha raccontato: «Voglio sempre dare al pubblico un’anteprima di ciò che verrà, ma il vero scopo delle nostre compilation è anche quello di unire i punti, soprattutto in quest’era digitale. È dare agli ascoltatori la possibilità di scoprire l’inaspettato attraverso questo tessuto sonoro che collega i diversi artisti dell’etichetta e della comunità che la circonda (…) La cosa più bella delle compilation di etichette è che possono portarti in un viaggio indipendente da quello di ogni singolo artista. Mi piace trovare quelle piccole cose che collegano i pezzi musicali, quando due canzoni sono armoniosamente nella stessa tonalità, o sentire che uno strumento solista segue l’altro in uno schema ritmico simile. È anche la prima volta che abbiamo deciso di includere i testi nell’artwork. Il motivo è che ho trovato questa narrazione condivisa che mette in discussione l’origine, l’identità e la connettività. Sottolinea inoltre che siamo tutti connessi attraverso idee e conoscenze condivise e tramandate di generazione in generazione. Molto di questo è inconscio e amo questi momenti, anche se i pezzi sono molto diversi e completamente estrapolati dal contesto dell’album del rispettivo artista. Cerco di collegare questi punti e di tessere insieme una rete sonora dell’etichetta come collettivo».
Riguardo all’elegante artwork della raccolta, Raths ha raccontato: «Il mio anno è iniziato per coincidenza in Giappone. Ricordo di aver visitato un tempio la notte di Capodanno e, anche se non sono della stessa religione, ha avuto un effetto profondo su di me, soprattutto dopo i recenti avvenimenti, in quanto mi sono sentito così grato di potere iniziare l’anno dall’altra parte del mondo, con una prospettiva diversa sulle cose. In quel momento ho deciso di dedicare l’anno a questa sensazione. Nello stesso periodo ho iniziato ad abbracciare l’arte della calligrafia e anche il fatto che amo giocare con il linguaggio. Nel corso degli anni ho trovato sempre più difficile esprimere ciò che facciamo a parole, attraverso lettere e numeri. Mi piace l’effetto che fa l’inchiostro sulla carta testurizzata, soprattutto se non è super controllato in modo tradizionale, ma più espressivo e libero. Un giorno ero in studio e per caso sulla mia scrivania c’era un pacchetto di fazzoletti umidi di bambù; ne ho presi due e ho applicato l’inchiostro sumi con una piccola spugna, ed ecco che è nato “15” espresso in kanji. È successo in un minuto, l’ho lasciato asciugare, l’ho scannerizzato e l’ho inviato al nostro amico designer Bernd Kuchenbeiser perché aggiungesse la sua magia con una tipografia e un’impaginazione sottile ma espressiva. Ma è proprio quel primo tentativo che ha dato vita alla copertina finale, perché esprime il valore di un momento più che la perfezione. È il venire a patti con il momento che, per quanto imperfetto, è perfetto. E questo mi piace. Credo che alla fine una compilation sia proprio questo: un collage di tante cose diverse che formano un insieme. Nel corso degli anni mi sono appassionato a farlo, perché potrebbe dare a qualcuno l’opportunità di scoprire l’ignoto. E questo vale già la pena».
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